PDF Lassetto dellitaliano delle traduzioni in un corpus giornalistico Aspetti qualitativi e quantitativi
Al contrario dell’italiano, che è una lingua “a soggetto nullo”, l’inglese obbliga a impiegare un nome o un pronome in funzione di soggetto. Ci si chiede, allora, se le traduzioni dall’inglese mostrino un uso più frequente dei pronomi personali soggetto, come hanno dimostrato precedenti analisi condotte su corpora testuali differenti (per esempio Cortelazzo 2007b; Cardinaletti 2004). Quanto alle traduzioni, si osserva che, pur essendo toccatedal calo graduale nell’uso di questo tempo verbale, nella prima e nella terza fase presentano un maggior uso del passato remoto rispetto ai romanzi autoctoni, ulteriore indicazione di una strategia conservatrice e di una predilezione per un’idea di “standard letterario”. Possiamo concludere, dunque, che la lingua delle traduzioni odierne, lungi dall’essere «livellata su un registro medio» (Coletti 2011, 49) è più formale e “corretta” rispetto a quella dei romanzi italiani. I dati mostrano con una certa coerenza che il repertorio di riferimento del sottosistema dell’italiano tradotto contemporaneo è di tipo più conservatore rispetto a quello dei testi autoctoni. Nei romanzi italiani anche il numero medio di parole per periodo si è gradualmente ridotto nel tempo, con un calo da 18 a 13 parole (27,5%). https://output.jsbin.com/pixoqijatu/ Nelle traduzioni, invece, si osserva una riduzione piuttosto brusca dalla prima alla seconda fase, da 16 https://www.tism.it/ a 12 parole (25%), seguita da una lieve inversione di tendenza nella terza. I risultati presentano un rapporto tra il numero di occorrenze del verbo avere ed essere al passato remoto e quello degli stessi verbi al passato prossimo.
Traduzioni dall’inglese
- Già Cortelazzo (2010) aveva osservato una disponibilità leggermente maggiore per il pronome relativo nelle traduzioni; ciò detto, la “conservazione” di talune forme tradizionali non è prerogativa generale delle traduzioni tout court, ma, al contrario, differisce a seconda della fase storico-culturale su cui si concentra l’analisi.
- I dati raccolti in questo studio smentiscono tali ipotesi universaliste e obbligano a circostanziare i testi nel sistema e nell’epoca che li ha prodotti o riprodotti.
- Anche in questo caso, quindi, si riscontra che mentre nella fase centrale lo stile delle traduzioni si distaccava da quello dei romanzi autoctoni per un minor livello di formalità, nelle traduzioni contemporanee vi è un relativo recupero di un tempo verbale sempre meno usato negli originali pubblicati nella stessa fase.
- Obiettivo dell’analisi è identificare i tratti linguistici che costituiscono il «repertorio di riferimento», ovvero «l’aggregato di norme e forme condivise in un dato periodo» (Even-Zohar 1990) da scrittori da una parte e traduttori dall’altra, per stabilire se fra la lingua dei romanzi indigeni italiani e quella delle traduzioni di narrativa vi sia una differenza statisticamente significativa.
Se, insomma, in passato per questo parametro vi era uno scarto considerevole fra traduzioni e testi indigeni, oggi questo scarto sembra scomparso. Nella tabella qui presentata colpisce, in particolare, la struttura chiastica che assumono i dati relativi alle ultime due fasi, quando la frequenza dei pronomi diminuisce nei romanzi italiani nella medesima misura in cui aumenta nelle traduzioni. Questa specularità mostra come la complessità pronominale delle traduzioni contemporanee sia relativamente alta, attestandosi a un livello pari a quello dei romanzi italiani della seconda fase. Seguendo Even-Zohar (1990), si potrebbe ipotizzare che le traduzioni rivestano un ruolo diverso (di consolidamento, di rinnovamento o di conservazione) nel polisistema letterario italiano nei diversi periodi considerati. https://articlescad.com/traduzione-manuali-tecnici-e-libretti-di-istruzioni-il-nuovo-regolamento-macchine-7380.html Obiettivo dell’analisi è identificare i tratti linguistici che costituiscono il «repertorio di riferimento», ovvero «l’aggregato di norme e forme condivise in un dato periodo» (Even-Zohar 1990) da scrittori da una parte e traduttori dall’altra, per stabilire se fra la lingua dei romanzi indigeni italiani e quella delle traduzioni di narrativa vi sia una differenza statisticamente significativa.
Composizione del corpus
Il terzo macroparametro riguarda quei tratti molto frequenti in inglese che hanno analoghi italiani con frequenze d’uso molto più basse. L’ipotesi di partenza è che il contatto con l’inglese promuova l’adozione di simili morfemi, forme o particelle normalmente poco usati ma già presenti nel patrimonio linguistico-grammaticale italiano, per questo motivo spesso definiti «calchi patrimoniali» (Grasso 2007). Risulta pertanto infondata l’impressione di tanti (tra cui Coletti 2011), secondo cui in generale le traduzioni sarebbero linguisticamente più povere rispetto ai romanzi italiani. Vale anche la pena di ricordare, a questo punto, che mentre lo scrittore è sovrano nello scegliere di propendere o meno per il congiuntivo, un traduttore vedrà il suo lavoro sottoposto alla revisione di uno o più editor, il che potrebbe condurlo a decidere a favore degli usi linguistici più conservatori, una tendenza di cui si lamenta amaramente https://www.aits.it/ Milan Kundera nei Testamenti traditi (1994). https://yamcode.com/traduzioni-per-il-settore-finanza-i-diction-sa Si ribadisce che l’intento dello studio era di stabilire se dal confronto tra questi gruppi testuali limitati, ma, come si è visto, comunque più consistenti di quelli adottati in molti altri studi, emergessero risultati sufficientemente interessanti e coerenti tra loro da meritare uno studio ulteriore con risorse più adeguate.
Composizione del corpus
Anche in questo caso, quindi, si riscontra che mentre nella fase centrale lo stile delle traduzioni si distaccava da quello dei romanzi autoctoni per un minor livello di formalità, nelle traduzioni contemporanee vi è un relativo recupero di un tempo verbale sempre meno usato negli originali pubblicati nella stessa fase. Ancora una volta vale la pena ricordare che alcune case editrici insistono sull’uso del passato remoto nelle traduzioni anche laddove il traduttore aveva scelto il passato prossimo. Ribadiamo che non rientra negli obiettivi del presente studio speculare sulle cause di questo cambiamento. Notiamo solo che i dati ricavati per i romanzi autoctoni sembrerebbero confermare una tendenza a una trasmissione più diretta e concisa delle informazioni, come già aveva osservato De Mauro (1999, 194) e un certo snellimento della sintassi del periodo in linea con quanto avviene nelle altre lingue europee (Santulli [2009, 167] parla di una «tendenza alla disarticolazione»). La tradizionale propensione all’amplificazione e alla complessità sintattica, che si esprime anche nella lunghezza dei periodi, non solo sembra più contenuta nei testi tradotti (come aveva già notato Cortelazzo 2010, XV), ma è oggi meno accentuata anche nei testi letterari autoctoni.